Riflessioni silenziose
Laplace ha sedotto l’intelligenza degli scienziati e degli uomini colti dicendo: “ nulla sarebbe incerto per lui, ed il futuro, come il passato, sarebbe presente al suo sguardo” Questa diventa la promessa della liberazione dall’ansia. Una promessa desiderata e necessaria. Si annuncia all’uomo che è possibile prevedere e dunque dominare il futuro. Questo è in sintesi il tipo di atteggiamento culturale- psicologico che ha perdurato e che ha permeato la nostra cultura fino alla fine del secondo millennio, anche se naturalmente vi sono stati oppositori critici e fautori di teorie diverse.
L’essere umano ha dunque creato come risposta allo stress questo sistema difensivo: “stabilendo la connessione necessaria di tutti i fenomeni secondo il principio di causalità (determinismo) potrò prevedere il futuro. Ciò mi dà la certezza e mi elimina l’ansia”. Attenzione però! Tutto il discorso sta in piedi solo se la premessa condizionale (ovvero stabilendo la connessione necessaria) diventa una premessa certa e vera!
E’ da ciò che lo studio e la ricerca si sono mossi per conoscere e stabilire queste famose connessioni necessarie, ovvero le leggi che regolano i fenomeni, prima per ciò che riguarda il mondo fisico, poi, per ciò che riguarda il mondo della psiche. E lo studio e la ricerca, pur in buona fede, sono stati influenzati da questa esigenza psicologica e non sono stati veramente “scientifici”. Pur non volendo, si è voluto trovare quello che si cercava tralasciando ciò che poteva contrastare con il raggiungimento dell’obiettivo.
Questo atteggiamento ha portato sul versante propriamente scientifico all’apologia del determinismo, sul versante psicologico al concetto di adattamento tramite il supporto teorico della psichiatria biologica e delle psicologie soprattutto comportamentiste, a loro volta sostenute dalla tesi epistemologica del riduzionismo.
Ma vediamo seppur a grandi linee, come questa operazione è avvenuta. Il punto cruciale, è quello di stabilire le connessioni necessarie di tutti i fenomeni secondo il principio di causalità e cioè stabilire le leggi che regolano i fenomeni. A questo si è provveduto sviluppando gli studi della fisica e gli esperimenti di laboratorio: ciò che seduce alla mente umana e la constatazione della riproducibilità di un fenomeno: date le medesime condizioni iniziali, io ho sempre lo stesso risultato finale. Con ciò viene stabilita la legge che regola quel fenomeno e la legge dà molta serenità e toglie l’ansia all’essere umano: si può finalmente prevedere ed essere certi della previsione. L’incertezza, quindi l’ansia, viene sconfitta. Poco importa se ancora non conosco tutte le leggi che regolano i fenomeni sia fisici che psichici, quello che importa è che esse esistono e che, continuando a studiare, ho la promessa che risolverò definitivamente il problema. La certezza della previsione dunque è il punto cardinale. E perché certezza vi sia, si è voluto in qualche modo credervi, accettando la semplificazione di analisi dei fenomeni. Ma questa certezza è stata di molto ridimensionata, se non addirittura sconfitta.
I primi colpi li ha assestati la teoria della relatività, poi la teoria della meccanica quantistica ed infine la teoria del caos. La prima elimino’ l’illusione dello spazio e del tempo assoluti; la seconda elimino’ il sogno di un processo di misurazione controllabile; la terza ovvero la teoria del caos, elimina la fantasia della prevedibilità deterministica. La certezza della previsione è dunque una illusione, alla quale desideriamo credere, ma che gli scienziati stessi più all’avanguardia hanno negato.
Sono di estremo interesse per il nostro campo, quello della psiche, i rilievi fatti dalla teoria del caos, la quale ha affermato e dimostrato che le leggi del determinismo valgono solo per i sistemi semplici, periodici e lineari.
In sistemi complessi, aperiodici e non lineari ogni minima variazione (vedi effetto farfalla) determina variazioni della risposta del sistema imprevedibili. È determinante questa affermazione in quanto se guardiamo la psiche non possiamo certo dire che essa sia un sistema semplice, né periodico, né tantomeno lineare. Essa è, a pieno titolo, un sistema molto complesso, e perciò dobbiamo avvicinarci al suo studio con una ben differente modalità, che non può certamente essere quella derivata dal determinismo o dal riduzionismo. E’ tenendo presente questo enorme salto di qualità con implicazioni anche filosofiche, della moderna scienza, che possiamo meglio comprendere la novità e originalità della proposta del centro di psicoterapia dinamica di Ancona che si pone nei confronti della psicologia in genere e delle varie psicoanalisi allo stesso modo dirompente e nuovo di come si è posta la nuova scienza moderna non deterministica.
La premessa base del centro è la percezione di realtà e confutando il principio di realtà nel campo psichico, il metodo di studio di elaborazione dei fenomeni psichici siano essi sani che malati diviene completamente nuovo. Per restare nell’analogia con la teoria del caos, nella psiche vi è sempre l’effetto farfalla che è rappresentato dalla presenza del proprio mondo interno tramite il sentire. Il sentire è imprevedibile. Noi lo possiamo conoscere solo quando siamo in contatto con l’evento stimolo. La prevedibilità è data solo dalla emozione in quanto essa esprime la parte psichica più vecchia è propriamente meccanica. L’emozione ripete schemi acquisiti nel passato e non tiene conto del nuovo e dell’evoluzione avvenuta nel soggetto o potenzialmente possibile.
Dunque il vero IO, la vera risposta autentica del soggetto di fronte ad uno stimolo, si esprime attraverso il sentire.
E qual è l’IO dell’uomo moderno? Come egli si rapporta con il proprio problema della sofferenza psicologica? Chi è costui? Cosa prova? Quali sono le sue aspirazioni, quali le sue sofferenze? Una cosa è certa: mai come in questo fine secolo egli non è felice, non sta bene, non è contento. Il suo disagio esistenziale si staglia ancor più nitidamente sullo sfondo di un accresciuto agio materiale e tecnologico. Tutti fanno la medesima riflessione: aumenta il benessere economico, abbiamo diminuito le malattie e la loro conseguente sofferenza fisica, le “macchine” ci aiutano e ci facilitano la vita, eppure diminuisce la capacità di godere di tutto ciò! Tutti naturalmente hanno cercato e cercano una risposta.
In primo luogo, come è giusto, si è cercato di definire cosa sia questo disagio esistenziale (o come più frettolosamente oggi si tende dire: questo stato depressivo). Pur con diverse sfumature, più o meno tutti concordano sull’etichettare questo come “stress”. Lo stress è una malattia moderna si dice e sempre più nei manuali di medicina esso è inserito come ulteriore causa di malattia. Il termine stress è usato in diversi modi e significati a secondo del settore nel quale esso viene chiamato in causa (ad esempio nel campo psicosociale, intrapsichico o fisico) e diverse sono state sono le accezioni ad esso date. Ma al di là delle controversie sul significato esatto del termine appare evidente che con questo termine vogliamo esprimere ed indicare la situazione di malessere che colpisce l’essere umano. Nel linguaggio medico moderno indichiamo stress l’insieme dei fattori di varia natura potenzialmente capaci di modificare l’omeostasi dell’organismo. Nel settore psicologico lo stress comunemente detto diventa l’incontro con la situazione nuova, inaspettata o improvvisa. Questa è una problematica generale dell’uomo.
Ritornando perciò al quesito posto cioè chi è l’uomo moderno a cavallo del terzo millennio e quali le sue sofferenze? Possiamo rispondere che è l’uomo impreparato di fronte al nuovo e all’imprevisto. Egli si è dotato di una corazza contro il malessere psicologico- esistenziale ed ha avuto la esperienza di constatare la sua inutilità. Egli ha cercato una certezza nell’esterno. Egli ha cercato le cause studiando i meccanismi. Egli ha continuamente proiettato ed ha perciò cercato di curare le proiezioni. Egli ha puntato la punta del compasso all’esterno e non all’interno. Così egli si è occupato di studiare e descrivere il malessere. Ed infatti oggi è abbastanza facile definire il malessere. Vi è una vastissima letteratura in merito vuoi scientifica vuoi letteraria. Del malessere sappiamo tutto o quasi tutto. Non altrettanto sappiamo del benessere che fino a non molto tempo fa era liquidato con la facile perifrasi di “assenza di malessere”.
Solo recentemente l’organizzazione mondiale della sanità ne ha coniato una definizione più implicita, passando così da un modello medico o biostatistico ad un modello cosiddetto olistico, secondo il quale la salute viene definita in termini di capacità personale a realizzare gli scopi vitali della persona umana. Ed è interessante notare che persino il DSM l’autorevole manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali nella sua introduzione dichiara: sebbene questo manuale fornisca una classificazione dei disturbi mentali, non esiste una definizione soddisfacente che specifichi i precisi confini del concetto di disturbo mentale (altrettanto è vero per i concetti di disturbo fisico e salute mentale e fisica. E’ quindi necessario conoscere e prendere atto del contesto in cui ci . La prima annotazione dunque è che non è chiaro ai massimi studiosi cosa si debba intendere per salute psichica. Non abbiamo un manuale attendibile di fisiologia della psiche mentre disponiamo di un manuale attendibile di fisiologia del corpo. L’essere umano desidera conoscere le sue potenzialità psichiche e poterle rendere operative per realizzare così la propria identità, oltre a quella di essere un componente della società. E’ per questo che oggi all’interno del centro di psicoterapia diamo una risposta dicendo che: è nel sentire l’unico luogo dove l’IO può trovare il proprio senso del vivere. Ed è proprio questo insopprimibile anelito ha realizzare la propria identità che è l’unica vera forza sana dell’essere umano.
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